Un fenomeno che non si decide a calare, un fenomeno che desta preoccupazione, ma non determina soluzioni coerenti. Ci si sta riferendo al randagismo, ossia alla condizione in cui si trovano gli animali domestici abbandonati (oppure smarriti) dal proprio padrone e che sopravvivono, perciò, nel territorio urbano e non solo.
Eppure esiste una normativa ben precisa, la legge 281/9, che ritiene responsabili della gestione del randagismo, i Comuni, sindaci, vigili urbani; quindi le autorità cittadine. Inoltre, stabilisce una particolare distinzione fra “cane vagante” e “cane randagio”, ritenendo quest’ultima da collegare agli animali abbandonati che si siano comunque abituati ad una vita semi-selvatica.
Poi c’è da considerare l’articolo 727 del codice penale, che è il seguente: «Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività, è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.»
Una normativa datata 2003 stabilisce, invece, alcune precise misure capaci di far diminuire questo fenomeno, ovvero l’introduzione del microchip come unico sistema ufficiale di identificazione dei cani, l’attivazione di una banca dati nazionale (Anagrafe canina nazionale) istituita presso il Ministero della Salute e la creazione di una banca dati informatizzata, su scala regionale o provinciale.
E’ bene poi ricordare che il randagismo può portare ad un potenziale rischio di aggressione per le persone, arrecare danni al bestiame, essere veicolo di trasmissione di varie malattie infettive e, cosa non proprio rara, causare incidenti stradali.
Infine, da segnalare una normativa della finanziaria 2007, che ha stabilito una quota precisa per la lotta al randagismo, mediante le sterilizzazioni.
Le leggi, dunque, ci sono e tocca soltanto a chi di dovere farle applicare come si deve…
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